ARTE E ARCHITETTURA

La Chiesa

Chiesa di Monte Carmelo

La chiesa, rivolta verso il mare e a croce latina, è semplice e senza decorazioni, con un interno bianco e luminoso. La cupola a spicchi e il campanile a vela spagnolo aggiungono carattere all’architettura. Gli spazi sono armoniosi, con quattro altari laterali di marmo bianco e un altare maggiore. Le colonne di questi altari recano lo stemma della famiglia Doria, i fondatori. Il tabernacolo centrale, di marmi colorati, ospita le statue degli evangelisti. Il pavimento originale in marmo bianco e ardesia nera è ben conservato. Nella cripta sottostante il presbiterio si trova il grande sarcofago di marmo bianco dei principi fondatori, violato durante il passaggio delle truppe rivoluzionarie francesi. Le pregevoli sculture secentesche lignee policrome di Teresa di Gesù e Giovanni della Croce, originariamente ai lati dell’altare maggiore, si trovano ora ai lati di un Crocifisso in legno di giuggiolo, davanti al quale il sacerdote si inchina prima di celebrare la Messa. A sinistra del Sancta Sanctorum si trovava la tribuna gentilizia, da cui i principi Doria assistevano alle funzioni liturgiche. Dopo il 1920, questa area è stata trasformata nella cappella di Gesù Bambino di Praga, molto frequentata dai fedeli. I quattro altari laterali in marmi policromi del XVII secolo sono dedicati ai santi cari alla famiglia Doria: Giovanni Battista, Francesco d’Assisi, Andrea apostolo e Carlo Borromeo, con tele che raffigurano episodi significativi della loro vita, realizzate da artisti come il Cresti, il Paggi e il Vanni. Dietro il presbiterio si apre il coro, uno spazio tipicamente monastico per la preghiera e la salmodia dei religiosi, dove gli stalli lignei sono stati rimossi per fare spazio a un organo Agati del 1845

Il Convento

E’ a forma di ferro di cavallo, con il lato aperto a mare. I frati spagnoli che avevano visto il famoso Escurial presso Madrid, con un po’ di enfasi battezzarono il  Monte Carmelo il “pequeño Escurial”. Senza dubbio, secondo chi ha visitato l’Ordine in lungo e in largo, è uno dei conventi più belli dell’Ordine. Al pianterreno si trovano tutti gli ambienti comuni: atrio d’ingresso, sala capitolare, biblioteca storica, refettorio, cucine. Tutto l’edificio, secondo uno schema classico dell’architettura monastica, si snoda intorno al chiostro, una sorta di cortile interno con aiuole e passaggi disposti in un lineare disegno geometrico. Quando si entra in chiostro si avverte un senso di pace. Un perfetto quadrato di circa 40 metri. Trentasei pilastri in pietra locale di Verezzi. Vi poggiano archi a tutto sesto, sovrastati da un ampio terrazzo. E’ il piano delle cellette dei frati (tre per tre per tre metri di dimensione), in tutto trentatré finestrelle che guardano il mare, il corridoio che le collega invece è rivolto a monte. Al centro di ognuno dei tre lati c’è una meridiana. La vista che si gode è suggestiva. In mezzo al chiostro una vasca ottagonale. Una delle tre, le altre due uguali si trovano, una sulla piazza e l’altra nel cortile del palazzo principesco (ora rimossa).

CASOTTO e torre

Il termine casotto, indica piuttosto la residenza di ritiro riflessione e preghiera. Era una delle residenze dei Principi a Loano. Addossato alla chiesa dal lato di ponente, è in comunicazione con la chiesa attraverso loggette e tribune. Le sale nobili sono ampie, luminose. I soffitti, quelli rimasti intatti, hanno ancora le volte a vela. Integri anche gli ampi camini di ardesia e le vasche marmoree dell’acqua. Gli appartamenti del Principe e della Principessa si trovano al primo piano, separati da una grande sala di rappresentanza. Vi si accede da uno scalone a due rampe molto scenografico, detto il cavallo. Al piano terra le cucine, magazzini, scuderia. Le piccole finestrelle subito sotto il terrazzo indicano gli ambienti riservati alla servitù. L’elegante balaustrata in cima delimita il perimetro del terrazzo, da cui si gode una vista mozzafiato e costituiva una via di fuga, da una eventuale minaccia, verso la torre di guardia, mediante un ponte levatoio.

La torre trova adiacente (tre metri circa) al Casotto ed ha una struttura quadrangolare, simile a quella più nota di Andrea Doria a San Fruttuoso di Camogli (GE). Aveva una doppia funzione: di avvistamento e difesa, oltre a ricovero della guardia. Il pericolo poteva arrivare improvvisamente dal mare, come era avvenuto alla vicina Ceriale, saccheggiata e messa a ferro e fuoco dai pirati saraceni. Più alta del Casotto è solida ed elegante allo stesso tempo. Una scala a chiocciola ricavata nello spessore del muro permette il passaggio ai vari livelli (quattro).

IL CROCIFISSO DEL SEC. XV

In chiesa, a lato della mensa, nella posizione prevista dalla liturgia, non passa inosservata la grande sagoma del Crocifisso. Si tratta di una preziosa scultura lignea policroma ligure del quattrocento, quindi anteriore a Monte Carmelo. Restaurato in occasione del grande Giubileo dell’anno duemila, può ora essere ammirato nei suoi colori originari. In particolare, il volto, rimasto miracolosamente intatto. Il rosso del sangue è così vivo che le gocce sembra che sgorghino adesso dalle ferite. Le lacrime agli angoli degli occhi appena socchiusi hanno la trasparenza dell’umore acqueo e sembra debbano cadere da un momento all’altro. Le labbra violacee esprimono il dolore, mentre la bocca è socchiusa nell’ultimo alito di vita. L’insieme del viso ha tuttavia la compostezza dolce dell’abbandono, incorniciato dalle ciocche dei capelli e dai riccioli della barba. L’anonimo artista ha curato molto i particolari fisici, come i peli ancora ben visibili sotto le ascelle, quasi a voler sottolineare l’umanità del Figlio di Dio fattosi figlio dell’uomo. I frammenti di colore conservati sul perizoma ne rendono agevole la lettura: stelle blu e oro su sfondo bianco, con una linea continua blu di cornice, suggerendo un tessuto e i colori tipici del suo popolo Israele, evidenziando in questo modo il mistero dell’incarnazione in un tempo luogo e cultura particolari seppur con una valenza salvifica universale. Il basamento, di prezioso marmo rosso di Francia, donato dal Sig. Tomasoni Domenico di Covo (Bg) nel 2002, ha la forma conica di un monte, a significare lo stemma dell’Ordine Carmelitano, appunto il monte Carmelo con la croce sulla vetta. Nel marmo è incisa la scritta Ave crux spes unica: speranza che si fonda sulla parola evangelica di Gesù: «quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me».

Statua lignea Madonna del Carmine

Statua lignea della Madonna del Carmine, attribuita alla scuola di Anton Maria Maragliano, sec. XVIII

Attribuita alla bottega dello scultore genovese Anton Maria Maragliano, attivo a metà del 1700. Rappresenta la Vergine che sorride soavemente adagiata come in trono su nembi celesti e putti svolazzanti. Con la mano sinistra stringe a sé il Bambino Gesù e con la destra porge ai devoti lo scapolare. Collocata in posizione strategica, è la prima ad incrociare lo sguardo curioso dei visitatori, Da buona padrona sembra accogliere i pellegrini con un saluto. E come a voler fare gli onori di casa, pare invitarli a procedere verso il tabernacolo  della Presenza eucaristica del Figlio per l’adorazione.

Pale d’altare

pala dell’altare maggiore

Negli apparati d’altare in marmo di Carrara all’interno della Chiesa, priva di decorazioni ad affresco, troviamo quattro dipinti più quello perduto dell’altar maggiore, ordinatamente simmetrici, tra lesene o colonne con capitelli d’ordine corinzio, che sono testimonianza della volontà di un progetto unico e coerente. Un’attenzione forte per una pittura di soggetto sacro, rinnovata rispetto alle scelte di tarda maniera, adatta a coinvolgere il fedele secondo le istanze propugnate da una cattolica riforma, sembra emergere già negli ultimo anni della committenza Doria.

La pala dell’altare maggiore non è la tela originale, andata irrimediabilmente in fumo a causa del calore delle candele, come talvolta accadeva, ma quella che ne ha preso il posto, di soggetto sempre mariano, copia di una attribuita al Piola conservata nella chiesa carmelitana di S. Pietro a Savona. La Vergine del Carmelo, china amorevolmente verso s. Simone Stock, carmelitano inglese, lo riveste dello Scapolare, l’umile abito da lavoro, in segno di celeste protezione quaggiù e pegno di eterna salvezza se indossato in modo degno e coerente al Vangelo. É attribuito al pittore savonese Michele Brilla. Nel refettorio del convento si conserva pure il bozzetto, in un formato ridotto, e senz’altro più grazioso e meglio riuscito.

Francesco Vanni, Processione di San Carlo durante la peste di Milano
Giovanni Battista Paggi, San Francesco riceve le stimmate
Francesco Curradi, La predica del Battista
Domenico Cresti il Passignano, Crocifissione di Sant’Andrea